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L'intervento del Gen.Div. (aus) Pasquale Martinello

 
 

DALLA GUERRA ITALO-TURCA ALLA SECONDA GUERRA MONDIALE 

 PREMESSA

Per ben comprendere il periodo storico oggetto della riunione è opportuno fare un accenno sulla situazione politica ed economica ad inizio secolo. Dominatore della scena è il Primo Ministro Giovanni Giolitti. L’età giolittiana, così è definito il periodo che va dai primi anni del secolo fino al 1914, fa affidamento su una maggioranza parlamentare costruita di volta in volta con ricercate tecniche trasformistiche, con pressioni clientelari e qualcuno insinua con qualche opera di corruzione, specialmente al sud. In ogni caso il Primo Ministro Giolitti risolve innumerevoli questioni non solo di politica sociale, ma stabilisce nuove norme sul lavoro e di politica economica. Ne cito alcune per dare un’idea di quali fossero i problemi di quel tempo.

Nel 1904 si trova ad affrontare il primo sciopero generale della storia italiana senza cedere alle pressioni dei conservatori che chiedevano una violenta repressione. Nel 1906 sorge la Confederazione Generale del Lavoro.

Nel 1905 avvia la statalizzazione del sistema ferroviario.

Durante il suo III Governo (1906-1909) decide importanti misure finanziarie, quali la conversione della rendita italiana dal 5% al 3,50% e la riorganizzazione della Banca d’Italia.

Il suo IV Governo (1911-1914) segna un acceso dibattito sul monopolio statale delle assicurazioni sulla vita (che culmina nella creazione dell’INA), introduce il suffragio quasi universale maschile con cui si concede il diritto di voto anche agli analfabeti che abbiano compiuto il 30° anno di età.

Favorisce un risanamento del bilancio attraverso un più severo controllo da parte dello Stato sulle emissioni di carta moneta; sono ridotte a tre le Banche di emissione: Banca d’Italia, Banco di Napoli e Banco di Sicilia.

Promuove la guerra di Libia.

Prima di passare a presentare questa guerra, vorrei richiamare la vostra attenzione su un fenomeno che in quegli anni cresce e diventa veramente importante: l’emigrazione. L’emigrazione nasce come conseguenza dello sviluppo demografico, a causa del quale le attività industriali e agricole, sebbene in continuo progresso, non potevano essere sufficienti a soddisfare le sempre più numerose e urgenti richieste di lavoro. Specialmente la popolazione dell’Italia Meridionale cercava possibilità di lavoro e di vita attraverso l’emigrazione in America. Era la loro, generalmente, un’emigrazione permanente. Non solo, dopo pochi anni, gli emigranti chiamavano le proprie famiglie e così interi nuclei si stabilivano lontano dalla Patria. Dall’Italia settentrionale, invece l’emigrazione era in genere temporanea e diretta specialmente verso la Francia e la Germania.

 GUERRA ITALO-TURCA

La guerra libica (così viene chiamata comunemente), a differenza delle nostre precedenti imprese coloniali, è favorevolmente sentita da buona parte dell’opinione pubblica. Il poeta Giovanni Pascoli, facendosi interprete dei diffusi entusiasmi, afferma “la grande proletaria si è mossa”. Riporto solo alcuni frasi per far comprendere contenuto e stile. “prima ella mandava altrove i suoi lavoratori che in Patria erano troppi… il mondo li avevi presi a opra, i lavoratori d’Italia; e più ne aveva bisogno, meno mostrava di averne, e li pagava poco e li trattava male e li stranomava… erano diventati un po’ come i negri, in America, questi connazionali di colui che la scoprì… era una vergogna e un rischio farsi sentire a dir Si, come Dante, a dir Terra come Colombo, a dir Avanti!, come Garibaldi…. ma la grande Proletaria ha trovato luogo per loro: una vasta regione bagnata del nostro mare… li i lavoratori non saranno, non l’opre, mal pagate, mal pregiate, mal nomate, degli stranieri, ma agricoltori nel suo, sul suolo della Patria… guardate in alto: ci sono le aquile!”

Il Governo italiano si decide ad agire favorito anche dalle migliorate condizioni economiche della nazione e moralmente sorretto dal fatto che l’Italia aveva proprio in Libia promosso missioni scientifiche e anche imprese commerciali, affidate a numerosi ed attivi emigranti. Diedero pretesto occasionale alla guerra gli ostacoli che venivano frapposti dalla Turchia all’attività degli Italiani in Libia e la partenza da Costantinopoli per Tripoli di un piroscafo turco carico di armi e munizioni.  Il 29 settembre 1911 il Primo Ministro Giolitti dichiara guerra alla Turchia e fa occupare dalle truppe da sbarco del Generale Caneva il porto di Tripoli.
Impossessatesi di Tripoli e Bengasi, le nostre truppe iniziarono la penetrazione verso l’interno. Ma se breve era stata la guerra vera e propria, lunga invece ed estenuante si prospettava la guerriglia contro le popolazioni arabe sobillate dai Turchi: si sacrificarono uomini e mezzi senza ottenere risultati definitivi. Il prolungarsi della guerra avrebbe potuto creare complicazioni internazionali. Bisognava quindi colpire la Turchia in punti più vitali: a tale scopo truppe italiane occuparono (5 maggio 1912) nel mare Egeo, Rodi e le isole circostanti (Dodecanneso). Le ostilità si conclusero con la pace di Losanna (18 ottobre 1912), per cui la Turchia riconosceva la sovranità italiana sulla Tripolitania e sulla Cirenaica, che vennero riunite a formare la colonia della Libia.

 PRIMA GUERRA MONDIALE

Nel 1914 i blocchi sono così configurati:

Triplice Intesa, figlia dell’alleanza franco-russa del 1894 alla quale si aggiunge la Gran Bretagna nel 1904 con un accordo franco-inglese e nel 1907 con un accordo anglo-russo. Nel 1914, con il patto di Londra, l’alleanza, fino ad allora a carattere difensivo, divenne anche un accordo militare;

Triplice Alleanza, figlia della Duplice Alleanza tra Germania ed Austria (1878) alla quale si aggiunse l’Italia nel 1882.

Come potete notare nella Triplice Intesa l’ultima ad arrivare è la Gran Bretagna che vede nella Germania un pericolo e si prepara a fronteggiarla.

La minaccia tedesca induce l’Inghilterra a mutare l’indirizzo della sua politica estera, avvicinandosi alla sua secolare nemica, la Francia.

Diciamolo in altre parole:

La minaccia tedesca sposta l’obiettivo della politica inglese, sempre ferma nella sua convinzione di avversare la potenza più forte o più minacciosa in Europa. Questa potenza non era più la Francia, ma la Germania.

Nella Triplice Alleanza l’ultima ad arrivare è l’Italia.  La nostra Italia era stata spinta nelle braccia della Germania e Austria dalla Francia che aveva occupato Tunisi nel 1881, estromettendo, di fatto, l’Italia dalla Tunisia. La Triplice rimaneva però diffidente verso l’Italia, anzi durante la guerra di Libia, Austria e Germania le furono apertamente ostili. Inoltre vi erano ancora popoli di cultura italiana soggetti all’Austria. L’Italia e la Romania non avvertite di quanto gli Imperi stavano preparando, rifiutarono di seguirli. L’Alleanza, infine aveva un carattere difensivo e la guerra era stata dichiarata dall’Austria. Successivamente, le pressioni diplomatiche di Gran Bretagna e Francia la spinsero a firmare il 26 aprile 1915 un patto all’insaputa dell’alleato austriaco, detto patto di Londra, nel quale l’Italia s’impegnava ad entrare in guerra entro un mese in cambio di alcune conquiste territoriali che avrebbe ottenuto dopo la guerra.

A fine agosto il Giappone dichiara guerra alla Germania per liberarsi della flotta tedesca presente nel Pacifico.

In questo quadro risultano d’importanza quasi trascurabile le circostanze del tutto contingenti, per cui il conflitto scoppiò. Esse non cambiarono quanto era già nelle cose.

Ad ogni buon conto la causa apparente fu l’assassinio dell’arciduca Ferdinando erede al trono astro-ungarico il 23 giugno 1914.

Il 23 luglio l’Austria presentò alla Serbia un ultimatum redatto in forma sicuramente inaccettabile.

La presunzione era che gli Stati Europei avrebbero finito per rassegnarsi come nel 1908 con la Bosnia.

Ma ben diverse erano le condizioni.

Tutti gli Stati erano armati fino ai denti. All’ultimatum, la Russia dichiarò che avrebbe appoggiato la Serbia; la Germania fece altrettanto con l’Austria. La risposta serba non bastò all’Austria.

Sapete che la guerra inizia con l’invasione della Francia attraverso il Belgio, che i francesi fermano i tedeschi sulla Marna, costringendo così i tedeschi a passare da una guerra di movimento a una guerra di posizione. Sul fronte orientale le truppe russe penetravano in territorio tedesco e austriaco fino ai Laghi Masuri.

In Italia si accende un grande dibattito tra neutralisti e interventisti, che la spuntarono. Così il 23 maggio viene notificata la formale dichiarazione di guerra al governo austriaco. Le ostilità che dovevano portare al completamento della nostra unità nazionale ebbero inizio lungo un fronte che dallo Stelvio al Mare raggiungeva la lunghezza di circa 800 chilometri.

La guerra prosegue in tutti i fronti nel 1916 sulla falsa riga della seconda metà dell’anno precedente, l’Italia prende Gorizia.

Il 1917 è caratterizzato dalla Rivoluzione Russa e dall’intervento americano. L’Italia subisce Caporetto.

Nel 1918 la superiorità militare dell’Intesa diventa irresistibile anche grazie a nuovi mezzi di combattimento (carro armato, sottomarini, gas). I tedeschi si ritirano dalla Francia e l’Italia affronta vittoriosamente la Battaglia del Piave prima, quella di Vittorio Veneto poi. Il 3 novembre soldati italiani entrano in Trento e Trieste. Nello stesso giorno viene siglato l’armistizio di Villa Giusti.

La prima guerra mondiale finisce formalmente nel novembre del 1918. Nel 1918, infatti, cessa la lotta armata fra i popoli, ma continua, dura, crudele, subdola, la lotta economica, il sordo rancore tra le nazioni che si sono avvantaggiate dai trattati di pace e quelle che se ne sentono oppresse o insoddisfatte; continua la ricerca del predominio non più e non solo politico e militare, ma industriale ed economico, basato sulle materie prime e sulle colonie.

Con i trattati di pace sorgono organismi nuovi, frontiere nuove, ma molti di essi sono artificiali, arbitrari, e, delle tante e tante complesse questioni da cui scaturì nel 1914 la guerra, molte rimangono insolute, mentre altre nuove si aggiungono ad esse.

Rimane il fatto che gli accordi di pace sanciscono la dissoluzione degli Imperi Centrali e la contestuale formazione di nuove entità statali. Si calcola che oltre 250 milioni di europei vedono mutato da un giorno all’altro lo Stato in cui vivono: mai l’Europa aveva conosciuto una ridefinizione dei suoi confini di tale portata in un tempo così breve.

 CONSEGUENZE DELLA GUERRA

In Europa si aprìva un periodo di crisi, vaste e profonde. Gravi crisi economiche. L’inflazione della moneta determinava squilibri sociali: una minoranza prosperava improvvisamente, mentre molti cadevano in rovina, spesso vedendosi tra le mani, al posto di piccoli patrimoni accumulati anche con il sacrificio di una vita, piccoli gruzzoli di carta moneta deprezzata dall’inflazione. Le smobilitazioni degli eserciti avevano creato fitte schiere di malcontenti che, dopo anni trascorsi nel fango delle trincee o tra il fuoco delle prime linee, dovevano ora affrontare il problema del ritrovo di un’occupazione.

Negli Stati Uniti, alla conclusione delle ostilità, la vita economica e industriale aveva realizzato progressi sorprendenti; ma il ritmo produttivo era divenuto superiore ad ogni possibilità di smercio all’interno e all’estero, determinando, di conseguenza, crisi economiche gravissime.

In Germania e in Austria, l’incontrollata e continua emissione di carta moneta era stata causa di un’inflazione monetaria, che aveva assunto enormi proporzioni.

La Francia e l’Inghilterra, invece, pur risentendo della crisi generale, ebbero il vantaggio dell’aiuto dei propri imperi coloniali.

Dopo la grande crisi del 24 ottobre1929, furono fatti dei tentativi per trovare accordi economici, esempio ne è la Conferenza Economica Mondiale nel 1933, che non giunsero a felice conclusione.

Il Presidente americano Wilson fece accettare alle potenze dell’Intesa la creazione di una Società delle Nazioni, la quale avrebbe dovuto rendere per sempre inutile il ricorso alla guerra. Il relativo patto promulgato il 28 aprile 1919 faceva obbligo di sottoporre ogni vertenza all’arbitrato della Società ed erano previste delle sanzioni contro lo stato che fosse ricorso all’aggressione anziché all’arbitrato. Peccato che l’opinione pubblica americana, votata ad una politica isolazionista, impedì che gli Stati Uniti stessi entrassero a farne parte e ne divenissero membri. Divenne praticamente inefficace.

 LA QUESTIONE DELLE MINORANZE E DELLE COLONIE.

Due fra i più importanti problemi sollevati dalla guerra furono quello delle minoranze etniche e quello della distribuzione delle colonie.

Il primo dette origine a nuovi irredentismi e a rivendicazioni nazionali, rendendo sempre più incerto il nuovo assetto europeo. Si pensi ad esempio che in Romania erano rimasti Magiari, Bulgari, Tedeschi, Russi e Ucraini; in Polonia Tedeschi Ucraini e Russi.

Con i trattati stipulati alla fine della guerra era aumentato lo squilibrio nella ripartizione dei domini coloniali a tutto vantaggio di Inghilterra e Francia. L’Inghilterra, per esempio, non soltanto aveva accresciuto la sua influenza con i mandati sul Tanganica e sull’Africa Orientale Tedesca, e con quelli sulla Palestina e Irak in Asia, ma li aveva resi più sicuri stabilendo una continuità territoriale ininterrotta  fra i suoi possedimenti africani dall’Egitto a Città del Capo.

 L’ITALIA NEL DOPOGUERRA

Anche in Italia l’inflazione faceva sentire la crisi economica da cui derivò l’aggravarsi delle agitazioni sociali. Nel 1920 gli operai occuparono le fabbriche. Tra gli ex combattenti il malcontento era diffuso. Coloro che non avevano potuto o saputo trovare una sistemazione nella vita civile si sentivano quasi traditi dal Paese per cui avevano combattuto.

C’è un grande fermento politico.

Nel socialismo si combattono i gradualisti o riformisti (sostenitori di una graduale serie di riforme che avrebbe progressivamente condotto alla società socialista) e gli estremisti o massimalisti (fautori di uno sforzo rivoluzionario per arrivare all’immediata attuazione del programma socialista). Sempre in seno al partito socialista, grazie alla rivoluzione russa, compare una corrente di leninisti, che dopo il congresso socialista del 15 gennaio 1921 si staccano dal partito (scissione di Livorno) e costituiscono il partito comunista italiano, leader fu eletto Antonio Gramsci. Nel 1922 anche i riformisti lasciarono il partito socialista italiano e sotto la guida di Filippo Turati, danno vita al Partito socialista unitario.

Nel 1919 don Luigi Sturzo, dopo l’abolizione ad opera del Papa Benedetto XV, del non expedit, organizza il Partito Popolare.

Non appare all’altezza delle sue tradizioni il partito liberale, quasi sordo di fronte a tanti problemi sociali.

 L’ITALIA E IL FASCISMO

Nel 1921 sorge il Partito Nazionale Fascista fondato dall’ex socialista Benito Mussolini. Il fascismo non aveva un programma preciso, nascondeva sotto sentimenti di patriottismo un esasperato nazionalismo e molti interessi di gruppi e di classi. Nelle elezioni del 1921 ottenne una trentina di seggi. Il 28 ottobre 1922, Mussolini, deciso ad impadronirsi del potere, attuò la cosiddetta Marcia su Roma. Il Re Vittorio Emanuele III, credendo di evitare la guerra civile, diede a Mussolini l’incarico di formare il Governo. Le classi dirigenti avevano assunto un atteggiamento di attesa, senza prendere posizioni precise.

Il fascismo non può essere considerato un fenomeno storico isolato, ma deve essere collegato ad altri aspetti della vita italiana:

L’inadeguatezza che lo Stato Liberale allora rivelava nella risoluzione dei problemi nazionali e internazionali.

Il discredito del regime parlamentare presso una parte dell’opinione pubblica e la conseguente speranza di una dittatura di destra capace di ristabilire l’ordine e di consolidare la vacillante autorità dello Stato.

La scarsa sensibilità della nuova generazione di fronte alle tradizioni di libertà

Lo stato d’incertezza e di ansia delle classi dirigenti;

Tante esigenze sociali, economiche e politiche rimaste insoddisfatte;

Il peso di grandi problemi ereditati dal Risorgimento e non risolti;

Gli esagerati e ingiusti timori nei riguardi delle forze socialiste;

L’aspirazione della borghesia industriale di un governo forte capace di controllare a proprio vantaggio la situazione e di reagire al rafforzamento del movimento operaio.

Fatta approvare una nuova legge elettorale, la quale attribuiva un forte premio di maggioranza, nel 1924 furono indette nuove elezioni. Mussolini presentò una grossa “lista nazionale” e vinse le elezioni, non senza brogli elettorali e non senza violenze e soprusi (notte di san Bartolomeo a Firenze, i fatti di Pisa che fecero dire al Cardinale Maffi: come vescovo piango, come italiano arrossisco ed altre ancora come le attenzioni riservate all’onorevole Amendola e all’onorevole Nitti).

A denunciare apertamente in un discorso alla camera la legittimità del responso elettorale fu Giacomo Matteotti, uomo di punta della lotta antifascista. Fu ucciso il 10 giugno 1924. L’assassinio provocò una grave crisi. L’opposizione alla Camera denunciò al Paese la politica di violenza del fascismo e costituì la base di quella Resistenza “morale-culturale” che rimarrà sempre viva fino alla fine.

Il discorso pronunciato alla Camera da Mussolini il 3 gennaio 1925 e i provvedimenti legislativi che seguirono segnarono la fine:

Di tutte le libertà del Parlamento

Dei partiti, tranne quello fascista

Della libertà di stampa

Delle libertà costituzionali

Dello sciopero, che fu considerato reato

Furono trasformate le amministrazioni locali, furono aboliti i consigli municipali e provinciali, che vennero sostituiti da organi consultivi con a capo il Podestà di nomina governativa (1926). Il 1° febbraio 1927 iniziò la sua attività il tribunale speciale per la difesa dello stato contro le cui sentenze non era ammesso ricorso.

Si era intanto costituito (1923) il “gran consiglio del fascismo” per assicurare la collaborazione tra partito fascista e governo e si era creata, in quello stesso anno, la cosiddetta “milizia volontaria”, una specie di duplicato dell’esercito e tutta al servizio del regime fascista.

Il fascismo iniziò anche una politica di lavori pubblici e di sviluppo industriale ed agricolo, che non mancò di procurargli favori. Nel dicembre 1928 fu emanata la legge per la “bonifica integrale”, che dette buoni risultati e fu accompagnata da costruzioni di villaggi, città, di acquedotti e di strade. L’industria mineraria estrattiva ebbe notevoli sviluppi. Risale al 1926 l’istituzione dell’AGIP l’Azienda Generale Italiana Petroli per incoraggiare la ricerca petrolifera.

L’11 febbraio 1929 tra la Santa Sede retta da Pio XI e il Governo furono stipulati i Patti del Laterano, che riconobbe la piena sovranità della Santa Sede sulla Città del Vaticano e regolarono i rapporti tra stato e chiesa, introducendo tra l’altro l’insegnamento della religione nelle scuole e dando effetti civili al matrimonio religioso.

 IL NAZISMO IN GERMANIA. ATTIVITA’ DIPLOMATICA IN EUROPA

La Germania era uscita dalla guerra in condizioni disastrose. Le potenze vincitrici imposero ai tedeschi gravose e umilianti clausole economiche (ingenti riparazioni per danni di guerra, circa 226 miliardi di marchi oro) e militari (l’esercito tedesco non avrebbe dovuto superare le 100.000 unità, avrebbe avuto limitazioni nelle armi a disposizione e l’intera area della Renania avrebbe dovuto essere smilitarizzata).  Crescevano le agitazioni sociali. Fra tanto disordine prevalsero le correnti nazionalista capeggiate da Adolf  Hitler, il quale aveva fondato nel 1920 “il partito nazionalista degli operai tedeschi”. Ad esso aderirono anche molti disoccupati, che nel 1931 arrivarono ad essere 5 milioni. Nell’agosto del 1921 la Germania aveva iniziato il pagamento delle prime rate della riparazione ma, come era prevedibile, il risultato fu semplicemente quello di ingigantire l’inflazione. Il marco fu addirittura polverizzato. Fu necessario, pertanto, chiedere all’Intesa una moratoria nel pagamento delle riparazioni. L’Inghilterra, che diffidava dell’eccessivo potere della Francia, non fu ostile a concederla, ma la Francia impose il rispetto letterale dei patti. Una spedizione franco-belga l’11 gennaio 1923, entrò nel ricchissimo bacino carbonifero e metallurgico della Ruhr e la occupò a titolo di pegno per i futuri pagamenti. L’occupazione della Ruhr fu un atto di fondamentale importanza non solo perché mise in evidenza il dissenso franco-inglese di cui Hitler approfitterà, ma anche perché può definirsi il vero atto di nascita del nazionalismo, mettendo in movimento le forze reazionarie tedesche. Una prima testimonianza è data dal putsch del 9 novembre 1923. Il tentativo fallì, Hitler fu arrestato, ma seppe abilmente sfruttare il processo al quale fu sottoposto perché fornì le armi alla futura propaganda nazista.

Dal giorno in cui Hitler assunse il potere, la Germania divenne una grande caserma. La dottrina pan germanica e l’addestramento militare si allearono per fare della nazione uno strumento di dominazione europea.

Ebbe inizio una politica di persecuzione contro gli Ebrei perché considerati disgregatori dell’unità spirituale del popolo tedesco. Contro di essi furono usati metodi sempre più inumani, deportazioni e massacri fino ad arrivare ad un vero e proprio genocidio.

Si provvide ad incrementare le attività economiche e industriali, con particolare riguardo all’industria pesante collegata all’industria bellica, che avrebbe permesso ai tedeschi di affrontare iniziative di guerra con la possibilità di una completa autonomia economica.

Il pangermanesimo di Hitler si era intanto già rivolto contro l’Austria. Il Cancelliere austriaco Dollfuss, energico oppositore dell’annessione dell’Austria alla Germania fu assassinato da un gruppo di nazisti nel 1934.

Un “patto a quattro”, proposto da Mussolini tra Inghilterra, Francia, Italia e Germania per il mantenimento della pace fallì dopo numerosi tentativi nel 1933. Fallì perché alcune Nazioni volevano rivedere le clausole dei trattati stipulati alla conclusione della prima guerra mondiale, altre erano restie ad abbandonare i vantaggi acquisiti. In altre parole mancava una sincera volontà di pace.

Intanto la Russia, preoccupata del nuovo imperialismo tedesco aveva chiesto di entrare a far parte della Società delle Nazioni (1934) e strinse patti di amicizia con la Cecoslovacchia e di assistenza con la Francia (1935).

Cito infine un ultimo accordo quello della Conferenza di Stresa dell’aprile del 1935 a cui presero parte Inghilterra, Francia e Italia che aveva lo scopo di garantire l’Indipendenza dell’Austria e salvaguardare la pace in Europa. Purtroppo anch’esso non ebbe applicazione pratica.

La Germania si preoccupava di cercare alleati: perciò si accostò al regime fascista al quale la legavano affinità di programmi e di metodi politici ad anche al Giappone che nel 1933 aveva iniziato una politica apertamente imperialista. All’accordo anticomunista del 1936 tra Germania e Giappone aderì l’Italia.

 LA GUERRA IN ETIOPIA E L’ALLEANZA DELL’ITALIA CON LA GERMANIA

Mussolini nel 1935 mosse guerra all’Etiopia. Questa impresa voleva essere una prova di forza del regime fascista. Non mancò la solidarietà da parte della nazione perché vedeva in essa un’opera di civilizzazione e sperava che l’Etiopia avrebbe costituito una fonte di lavoro e di benessere. I 400.000 soldati e i 100.000 operai che parteciparono all’impresa seppero condurre con umanità e dignità la guerra coloniale, contribuendo innegabilmente al progresso civile della popolazione etiopica.

Motivo occasionale del governo fascista per iniziare le ostilità fu una serie d’incidenti di frontiera tra Somalia ed Etiopia, nonostante il trattato di amicizia che era stato firmato tra Roma ed Addis Abeba nel 1928. L’azione contro l’Etiopia suscitò l’ostilità di quasi tutti i paesi aderenti alla Società della Nazioni e in particolar modo dell’Inghilterra, che, nell’agosto del 1935, inviò la sua flotta nel Mediterraneo.

Strategicamente non fu una grande iniziativa perché con l’impresa etiopica l’Italia perdeva il suo ruolo di forza di equilibrio tra la Germania da una parte, la Francia e l’Inghilterra dall’altra.

La guerra italo-etiopica ebbe inizio il 3 ottobre del 1935. Il generale De Bono varcò il confine eritreo, il Generale Rodolfo Graziani varcava il confine somalo e da li penetrava in Etiopia. Dopo pochi mesi il Maresciallo Pietro Badoglio (successo nel comando a Di Bono) occupò Addis Abeba (5 maggio 1936). Sull’impero etiopico veniva proclamata la sovranità italiana (9 maggio 1936) e il Re d’Italia assumeva anche il titolo d’Imperatore di Etiopia. La guerra ebbe come conseguenza un maggior avvicinamento dell’Italia alla Germania (che aveva favorito l’impresa) tanto da giungere all’Asse Roma-Berlino. Quest’accordo fu particolarmente funesto perché assoggettò, di fatto, l’Italia alla Germania.

Indirettamente fu la causa del crollo della Società delle Nazioni, il cui prestigio non era certo considerevole. Ad esempio la Società delle Nazioni aveva imposto sanzioni economiche all’Italia, ma queste non furono mai applicate con eccessivo rigore e vennero vanificate dall’aiuto fornito da Germania e Stati Uniti, che non erano membri della Società delle Nazioni.

 LA GUERRA IN SPAGNA

A complicare le cose contribuì la situazione creatasi in Spagna, dove il Re Alfonso XIII fu costretto all’esilio da forze socialiste e comuniste. Si costituì la Repubblica (1931) contro la quale si schierarono le forze nazionaliste appoggiate dai militari. Il Generale Francisco Franco, che comandava le truppe di presidio nel Marocco spagnolo, rientrato in Patria, iniziò la lotta contro la nuova Repubblica costituitasi in “Fronte popolare” (luglio 1936). È importante notare la vicenda perché il grande urto di diversi ideali, vivo in tutta Europa, aveva assunto in Spagna forme cruente. Molti volontari accorsero in favore del Fronte popolare (anche il nostro Pietro Nenni). Germania e Italia mandarono aiuti di uomini e mezzi a Franco perché i due duci riconobbero alcune affinità di mentalità e d’ideali. La guerra civile (1939) si risolse a favore di Franco, che instaurò una dittatura militare e divenne il capo dello stato con l’appellativo di Caudillo (sempre Duce).

La partecipazione dell’Italia alla guerra di Spagna concorse ad indebolire ulteriormente il già modesto potenziale bellico già provato dalla guerra di Etiopia ed a farci trovare insufficientemente preparati al momento dello scoppio della seconda guerra mondiale.

 CONCLUSIONE

Alla vigilia della seconda guerra mondiale la situazione internazionale era così tracciata:

Il Re del Belgio, Leopoldo III aveva cercato di staccarsi dalla politica dei blocchi e contro blocchi, adottando una politica di neutralità (1936).

In Germania il servizio militare di leva era stato prolungato da un anno a due (agosto 1936). Iniziarono una serie di annessioni, nel marzo del 1938 truppe tedesche entrarono in Austria, occupando Vienna. Toccò poi alla Cecoslovacchia, dove nella regione dei monti Sudeti, vivevano circa tre milioni di Tedeschi. Nuove tensioni avvenivano per la questione di Danzica e del Corridoio Polacco che realmente mal definiva la frontiera della Germania perché teneva isolata la Prussia Orientale e divideva in due l’Alta Slesia.

La Russia aveva abbassato da ventuno anni a diciannove l’età per la chiamata alle armi.

La Francia aveva votato leggi speciali per il proprio rafforzamento militare.

L’Inghilterra aveva provveduto a rafforzare la marina e l’aviazione militare. Inghilterra e Francia rimasero un po’ a guardare nella nascosta speranza di un urto tra Germania e Russia, con il conseguente indebolimento di entrambe.

L’Italia stabilì straordinari stanziamenti militari. Nell’aprile del 1939, Mussolini occupò l’Albania, mentre rivendicazioni nazionaliste si levavano in Italia per Tunisi, Gibuti, Corsica e anche per Nizza e Savoia, incrementando l’acredine con la Francia.

Gli Stati Uniti tentarono di risolvere la questione con il loro Presidente Roosevelt. Ma nel Convegno di Monaco (settembre 1938) al quale parteciparono Italia, Francia, Germania ed Inghilterra fu sacrificata la Cecoslovacchia, che dovette cedere alla Germania il territorio dei Sudeti prima e nel marzo 1939 tutta la Nazione.

Tutte queste situazioni hanno portato ad avere i due blocchi così definiti:

Francia e Inghilterra crearono un’alleanza difensiva alla quale aderì anche la Russia.

Germania e Italia stipularono il tristemente famoso Patto di acciaio che assoggettò l’Italia alla Germania.

Il 1° settembre 1939 Hitler impartiva l’ordine alle truppe di varcare il confine con la Polonia. Inghilterra e Francia si dichiararono in stato di guerra con la Germania (3 settembre). L’Italia dichiarava la non belligeranza. Era l’inizio della seconda guerra mondiale, terribile, destinata a durare sei lunghi anni e a sconvolgere il mondo.

 
     

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