DALLA GUERRA ITALO-TURCA ALLA SECONDA GUERRA MONDIALE
PREMESSA
Per
ben comprendere il periodo storico oggetto della riunione è opportuno
fare un accenno sulla situazione politica ed economica ad inizio secolo.
Dominatore della scena è il Primo Ministro Giovanni Giolitti. L’età
giolittiana, così è definito il periodo che va dai primi anni del secolo
fino al 1914, fa affidamento su una maggioranza parlamentare costruita
di volta in volta con ricercate tecniche trasformistiche, con pressioni
clientelari e qualcuno insinua con qualche opera di corruzione,
specialmente al sud. In ogni caso il Primo Ministro Giolitti risolve
innumerevoli questioni non solo di politica sociale, ma stabilisce nuove
norme sul lavoro e di politica economica. Ne cito alcune per dare
un’idea di quali fossero i problemi di quel tempo.
Nel
1904 si trova ad affrontare il primo sciopero generale della storia
italiana senza cedere alle pressioni dei conservatori che chiedevano una
violenta repressione. Nel 1906 sorge la Confederazione Generale del
Lavoro.
Nel
1905 avvia la statalizzazione del sistema ferroviario.
Durante il suo III Governo (1906-1909) decide importanti misure
finanziarie, quali la conversione della rendita italiana dal 5% al 3,50%
e la riorganizzazione della Banca d’Italia.
Il
suo IV Governo (1911-1914) segna un acceso dibattito sul monopolio
statale delle assicurazioni sulla vita (che culmina nella creazione
dell’INA), introduce il suffragio quasi universale maschile con cui si
concede il diritto di voto anche agli analfabeti che abbiano compiuto il
30° anno di età.
Favorisce un risanamento del bilancio attraverso un più severo controllo
da parte dello Stato sulle emissioni di carta moneta; sono ridotte a tre
le Banche di emissione: Banca d’Italia, Banco di Napoli e Banco di
Sicilia.
Promuove la guerra di Libia.
Prima di passare a presentare questa guerra, vorrei richiamare la vostra
attenzione su un fenomeno che in quegli anni cresce e diventa veramente
importante: l’emigrazione. L’emigrazione nasce come conseguenza dello
sviluppo demografico, a causa del quale le attività industriali e
agricole, sebbene in continuo progresso, non potevano essere sufficienti
a soddisfare le sempre più numerose e urgenti richieste di lavoro.
Specialmente la popolazione dell’Italia Meridionale cercava possibilità
di lavoro e di vita attraverso l’emigrazione in America. Era la loro,
generalmente, un’emigrazione permanente. Non solo, dopo pochi anni, gli
emigranti chiamavano le proprie famiglie e così interi nuclei si
stabilivano lontano dalla Patria. Dall’Italia settentrionale, invece
l’emigrazione era in genere temporanea e diretta specialmente verso la
Francia e la Germania.
GUERRA ITALO-TURCA
La
guerra libica (così viene chiamata comunemente), a differenza delle
nostre precedenti imprese coloniali, è favorevolmente sentita da buona
parte dell’opinione pubblica. Il poeta Giovanni Pascoli, facendosi
interprete dei diffusi entusiasmi, afferma “la grande proletaria si è
mossa”. Riporto solo alcuni frasi per far comprendere contenuto e stile.
“prima ella mandava altrove i suoi lavoratori che in Patria erano
troppi… il mondo li avevi presi a opra, i lavoratori d’Italia; e più ne
aveva bisogno, meno mostrava di averne, e li pagava poco e li trattava
male e li stranomava… erano diventati un po’ come i negri, in America,
questi connazionali di colui che la scoprì… era una vergogna e un
rischio farsi sentire a dir Si, come Dante, a dir Terra come Colombo, a
dir Avanti!, come Garibaldi…. ma la grande Proletaria ha trovato luogo
per loro: una vasta regione bagnata del nostro mare… li i lavoratori non
saranno, non l’opre, mal pagate, mal pregiate, mal nomate, degli
stranieri, ma agricoltori nel suo, sul suolo della Patria… guardate in
alto: ci sono le aquile!”
Il
Governo italiano si decide ad agire favorito anche dalle migliorate
condizioni economiche della nazione e moralmente sorretto dal fatto che
l’Italia aveva proprio in Libia promosso missioni scientifiche e anche
imprese commerciali, affidate a numerosi ed attivi emigranti. Diedero
pretesto occasionale alla guerra gli ostacoli che venivano frapposti
dalla Turchia all’attività degli Italiani in Libia e la partenza da
Costantinopoli per Tripoli di un piroscafo turco carico di armi e
munizioni. Il 29 settembre 1911 il Primo Ministro Giolitti dichiara
guerra alla Turchia e fa occupare dalle truppe da sbarco del Generale
Caneva il porto di Tripoli.
Impossessatesi di Tripoli e Bengasi, le nostre truppe iniziarono la
penetrazione verso l’interno. Ma se breve era stata la guerra vera e
propria, lunga invece ed estenuante si prospettava la guerriglia contro
le popolazioni arabe sobillate dai Turchi: si sacrificarono uomini e
mezzi senza ottenere risultati definitivi. Il prolungarsi della guerra
avrebbe potuto creare complicazioni internazionali. Bisognava quindi
colpire la Turchia in punti più vitali: a tale scopo truppe italiane
occuparono (5 maggio 1912) nel mare Egeo, Rodi e le isole circostanti
(Dodecanneso). Le ostilità si conclusero con la pace di Losanna (18
ottobre 1912), per cui la Turchia riconosceva la sovranità italiana
sulla Tripolitania e sulla Cirenaica, che vennero riunite a formare la
colonia della Libia.
PRIMA GUERRA MONDIALE
Nel
1914 i blocchi sono così configurati:
Triplice Intesa, figlia dell’alleanza franco-russa del 1894 alla quale
si aggiunge la Gran Bretagna nel 1904 con un accordo franco-inglese e
nel 1907 con un accordo anglo-russo. Nel 1914, con il patto di Londra,
l’alleanza, fino ad allora a carattere difensivo, divenne anche un
accordo militare;
Triplice Alleanza, figlia della Duplice Alleanza tra Germania ed Austria
(1878) alla quale si aggiunse l’Italia nel 1882.
Come
potete notare nella Triplice Intesa l’ultima ad arrivare è la Gran
Bretagna che vede nella Germania un pericolo e si prepara a
fronteggiarla.
La
minaccia tedesca induce l’Inghilterra a mutare l’indirizzo della sua
politica estera, avvicinandosi alla sua secolare nemica, la Francia.
Diciamolo in altre parole:
La
minaccia tedesca sposta l’obiettivo della politica inglese, sempre ferma
nella sua convinzione di avversare la potenza più forte o più minacciosa
in Europa. Questa potenza non era più la Francia, ma la Germania.
Nella Triplice Alleanza l’ultima ad arrivare è l’Italia. La nostra
Italia era stata spinta nelle braccia della Germania e Austria dalla
Francia che aveva occupato Tunisi nel 1881, estromettendo, di fatto,
l’Italia dalla Tunisia. La Triplice rimaneva però diffidente verso
l’Italia, anzi durante la guerra di Libia, Austria e Germania le furono
apertamente ostili. Inoltre vi erano ancora popoli di cultura italiana
soggetti all’Austria. L’Italia e la Romania non avvertite di quanto gli
Imperi stavano preparando, rifiutarono di seguirli. L’Alleanza, infine
aveva un carattere difensivo e la guerra era stata dichiarata
dall’Austria. Successivamente, le pressioni diplomatiche di Gran
Bretagna e Francia la spinsero a firmare il 26 aprile 1915 un patto
all’insaputa dell’alleato austriaco, detto patto di Londra, nel quale
l’Italia s’impegnava ad entrare in guerra entro un mese in cambio di
alcune conquiste territoriali che avrebbe ottenuto dopo la guerra.
A
fine agosto il Giappone dichiara guerra alla Germania per liberarsi
della flotta tedesca presente nel Pacifico.
In
questo quadro risultano d’importanza quasi trascurabile le circostanze
del tutto contingenti, per cui il conflitto scoppiò. Esse non cambiarono
quanto era già nelle cose.
Ad
ogni buon conto la causa apparente fu l’assassinio dell’arciduca
Ferdinando erede al trono astro-ungarico il 23 giugno 1914.
Il
23 luglio l’Austria presentò alla Serbia un ultimatum redatto in forma
sicuramente inaccettabile.
La
presunzione era che gli Stati Europei avrebbero finito per rassegnarsi
come nel 1908 con la Bosnia.
Ma
ben diverse erano le condizioni.
Tutti gli Stati erano armati fino ai denti. All’ultimatum, la Russia
dichiarò che avrebbe appoggiato la Serbia; la Germania fece altrettanto
con l’Austria. La risposta serba non bastò all’Austria.
Sapete che la guerra inizia con l’invasione della Francia attraverso il
Belgio, che i francesi fermano i tedeschi sulla Marna, costringendo così
i tedeschi a passare da una guerra di movimento a una guerra di
posizione. Sul fronte orientale le truppe russe penetravano in
territorio tedesco e austriaco fino ai Laghi Masuri.
In
Italia si accende un grande dibattito tra neutralisti e interventisti,
che la spuntarono. Così il 23 maggio viene notificata la formale
dichiarazione di guerra al governo austriaco. Le ostilità che dovevano
portare al completamento della nostra unità nazionale ebbero inizio
lungo un fronte che dallo Stelvio al Mare raggiungeva la lunghezza di
circa 800 chilometri.
La
guerra prosegue in tutti i fronti nel 1916 sulla falsa riga della
seconda metà dell’anno precedente, l’Italia prende Gorizia.
Il
1917 è caratterizzato dalla Rivoluzione Russa e dall’intervento
americano. L’Italia subisce Caporetto.
Nel
1918 la superiorità militare dell’Intesa diventa irresistibile anche
grazie a nuovi mezzi di combattimento (carro armato, sottomarini, gas).
I tedeschi si ritirano dalla Francia e l’Italia affronta vittoriosamente
la Battaglia del Piave prima, quella di Vittorio Veneto poi. Il 3
novembre soldati italiani entrano in Trento e Trieste. Nello stesso
giorno viene siglato l’armistizio di Villa Giusti.
La
prima guerra mondiale finisce formalmente nel novembre del 1918. Nel
1918, infatti, cessa la lotta armata fra i popoli, ma continua, dura,
crudele, subdola, la lotta economica, il sordo rancore tra le nazioni
che si sono avvantaggiate dai trattati di pace e quelle che se ne
sentono oppresse o insoddisfatte; continua la ricerca del predominio non
più e non solo politico e militare, ma industriale ed economico, basato
sulle materie prime e sulle colonie.
Con
i trattati di pace sorgono organismi nuovi, frontiere nuove, ma molti di
essi sono artificiali, arbitrari, e, delle tante e tante complesse
questioni da cui scaturì nel 1914 la guerra, molte rimangono insolute,
mentre altre nuove si aggiungono ad esse.
Rimane il fatto che gli accordi di pace sanciscono la dissoluzione degli
Imperi Centrali e la contestuale formazione di nuove entità statali. Si
calcola che oltre 250 milioni di europei vedono mutato da un giorno
all’altro lo Stato in cui vivono: mai l’Europa aveva conosciuto una
ridefinizione dei suoi confini di tale portata in un tempo così breve.
CONSEGUENZE DELLA GUERRA
In
Europa si aprìva un periodo di crisi, vaste e profonde. Gravi crisi
economiche. L’inflazione della moneta determinava squilibri sociali: una
minoranza prosperava improvvisamente, mentre molti cadevano in rovina,
spesso vedendosi tra le mani, al posto di piccoli patrimoni accumulati
anche con il sacrificio di una vita, piccoli gruzzoli di carta moneta
deprezzata dall’inflazione. Le smobilitazioni degli eserciti avevano
creato fitte schiere di malcontenti che, dopo anni trascorsi nel fango
delle trincee o tra il fuoco delle prime linee, dovevano ora affrontare
il problema del ritrovo di un’occupazione.
Negli Stati Uniti, alla conclusione delle ostilità, la vita economica e
industriale aveva realizzato progressi sorprendenti; ma il ritmo
produttivo era divenuto superiore ad ogni possibilità di smercio
all’interno e all’estero, determinando, di conseguenza, crisi economiche
gravissime.
In
Germania e in Austria, l’incontrollata e continua emissione di carta
moneta era stata causa di un’inflazione monetaria, che aveva assunto
enormi proporzioni.
La
Francia e l’Inghilterra, invece, pur risentendo della crisi generale,
ebbero il vantaggio dell’aiuto dei propri imperi coloniali.
Dopo
la grande crisi del 24 ottobre1929, furono fatti dei tentativi per
trovare accordi economici, esempio ne è la Conferenza Economica Mondiale
nel 1933, che non giunsero a felice conclusione.
Il
Presidente americano Wilson fece accettare alle potenze dell’Intesa la
creazione di una Società delle Nazioni, la quale avrebbe dovuto rendere
per sempre inutile il ricorso alla guerra. Il relativo patto promulgato
il 28 aprile 1919 faceva obbligo di sottoporre ogni vertenza
all’arbitrato della Società ed erano previste delle sanzioni contro lo
stato che fosse ricorso all’aggressione anziché all’arbitrato. Peccato
che l’opinione pubblica americana, votata ad una politica isolazionista,
impedì che gli Stati Uniti stessi entrassero a farne parte e ne
divenissero membri. Divenne praticamente inefficace.
LA
QUESTIONE DELLE MINORANZE E DELLE COLONIE.
Due
fra i più importanti problemi sollevati dalla guerra furono quello delle
minoranze etniche e quello della distribuzione delle colonie.
Il
primo dette origine a nuovi irredentismi e a rivendicazioni nazionali,
rendendo sempre più incerto il nuovo assetto europeo. Si pensi ad
esempio che in Romania erano rimasti Magiari, Bulgari, Tedeschi, Russi e
Ucraini; in Polonia Tedeschi Ucraini e Russi.
Con
i trattati stipulati alla fine della guerra era aumentato lo squilibrio
nella ripartizione dei domini coloniali a tutto vantaggio di Inghilterra
e Francia. L’Inghilterra, per esempio, non soltanto aveva accresciuto la
sua influenza con i mandati sul Tanganica e sull’Africa Orientale
Tedesca, e con quelli sulla Palestina e Irak in Asia, ma li aveva resi
più sicuri stabilendo una continuità territoriale ininterrotta fra i
suoi possedimenti africani dall’Egitto a Città del Capo.
L’ITALIA NEL DOPOGUERRA
Anche in Italia l’inflazione faceva sentire la crisi economica da cui
derivò l’aggravarsi delle agitazioni sociali. Nel 1920 gli operai
occuparono le fabbriche. Tra gli ex combattenti il malcontento era
diffuso. Coloro che non avevano potuto o saputo trovare una sistemazione
nella vita civile si sentivano quasi traditi dal Paese per cui avevano
combattuto.
C’è
un grande fermento politico.
Nel
socialismo si combattono i gradualisti o riformisti (sostenitori di una
graduale serie di riforme che avrebbe progressivamente condotto alla
società socialista) e gli estremisti o massimalisti (fautori di uno
sforzo rivoluzionario per arrivare all’immediata attuazione del
programma socialista). Sempre in seno al partito socialista, grazie alla
rivoluzione russa, compare una corrente di leninisti, che dopo il
congresso socialista del 15 gennaio 1921 si staccano dal partito
(scissione di Livorno) e costituiscono il partito comunista italiano,
leader fu eletto Antonio Gramsci. Nel 1922 anche i riformisti lasciarono
il partito socialista italiano e sotto la guida di Filippo Turati, danno
vita al Partito socialista unitario.
Nel
1919 don Luigi Sturzo, dopo l’abolizione ad opera del Papa Benedetto XV,
del non expedit, organizza il Partito Popolare.
Non
appare all’altezza delle sue tradizioni il partito liberale, quasi sordo
di fronte a tanti problemi sociali.
L’ITALIA E IL FASCISMO
Nel
1921 sorge il Partito Nazionale Fascista fondato dall’ex socialista
Benito Mussolini. Il fascismo non aveva un programma preciso, nascondeva
sotto sentimenti di patriottismo un esasperato nazionalismo e molti
interessi di gruppi e di classi. Nelle elezioni del 1921 ottenne una
trentina di seggi. Il 28 ottobre 1922, Mussolini, deciso ad impadronirsi
del potere, attuò la cosiddetta Marcia su Roma. Il Re Vittorio Emanuele
III, credendo di evitare la guerra civile, diede a Mussolini l’incarico
di formare il Governo. Le classi dirigenti avevano assunto un
atteggiamento di attesa, senza prendere posizioni precise.
Il
fascismo non può essere considerato un fenomeno storico isolato, ma deve
essere collegato ad altri aspetti della vita italiana:
L’inadeguatezza che lo Stato Liberale allora rivelava nella risoluzione
dei problemi nazionali e internazionali.
Il
discredito del regime parlamentare presso una parte dell’opinione
pubblica e la conseguente speranza di una dittatura di destra capace di
ristabilire l’ordine e di consolidare la vacillante autorità dello
Stato.
La
scarsa sensibilità della nuova generazione di fronte alle tradizioni di
libertà
Lo
stato d’incertezza e di ansia delle classi dirigenti;
Tante esigenze sociali, economiche e politiche rimaste insoddisfatte;
Il
peso di grandi problemi ereditati dal Risorgimento e non risolti;
Gli
esagerati e ingiusti timori nei riguardi delle forze socialiste;
L’aspirazione della borghesia industriale di un governo forte capace di
controllare a proprio vantaggio la situazione e di reagire al
rafforzamento del movimento operaio.
Fatta approvare una nuova legge elettorale, la quale attribuiva un forte
premio di maggioranza, nel 1924 furono indette nuove elezioni. Mussolini
presentò una grossa “lista nazionale” e vinse le elezioni, non senza
brogli elettorali e non senza violenze e soprusi (notte di san
Bartolomeo a Firenze, i fatti di Pisa che fecero dire al Cardinale
Maffi: come vescovo piango, come italiano arrossisco ed altre ancora
come le attenzioni riservate all’onorevole Amendola e all’onorevole
Nitti).
A
denunciare apertamente in un discorso alla camera la legittimità del
responso elettorale fu Giacomo Matteotti, uomo di punta della lotta
antifascista. Fu ucciso il 10 giugno 1924. L’assassinio provocò una
grave crisi. L’opposizione alla Camera denunciò al Paese la politica di
violenza del fascismo e costituì la base di quella Resistenza
“morale-culturale” che rimarrà sempre viva fino alla fine.
Il
discorso pronunciato alla Camera da Mussolini il 3 gennaio 1925 e i
provvedimenti legislativi che seguirono segnarono la fine:
Di
tutte le libertà del Parlamento
Dei
partiti, tranne quello fascista
Della libertà di stampa
Delle libertà costituzionali
Dello sciopero, che fu considerato reato
Furono trasformate le amministrazioni locali, furono aboliti i consigli
municipali e provinciali, che vennero sostituiti da organi consultivi
con a capo il Podestà di nomina governativa (1926). Il 1° febbraio 1927
iniziò la sua attività il tribunale speciale per la difesa dello stato
contro le cui sentenze non era ammesso ricorso.
Si
era intanto costituito (1923) il “gran consiglio del fascismo” per
assicurare la collaborazione tra partito fascista e governo e si era
creata, in quello stesso anno, la cosiddetta “milizia volontaria”, una
specie di duplicato dell’esercito e tutta al servizio del regime
fascista.
Il
fascismo iniziò anche una politica di lavori pubblici e di sviluppo
industriale ed agricolo, che non mancò di procurargli favori. Nel
dicembre 1928 fu emanata la legge per la “bonifica integrale”, che dette
buoni risultati e fu accompagnata da costruzioni di villaggi, città, di
acquedotti e di strade. L’industria mineraria estrattiva ebbe notevoli
sviluppi. Risale al 1926 l’istituzione dell’AGIP l’Azienda Generale
Italiana Petroli per incoraggiare la ricerca petrolifera.
L’11
febbraio 1929 tra la Santa Sede retta da Pio XI e il Governo furono
stipulati i Patti del Laterano, che riconobbe la piena sovranità della
Santa Sede sulla Città del Vaticano e regolarono i rapporti tra stato e
chiesa, introducendo tra l’altro l’insegnamento della religione nelle
scuole e dando effetti civili al matrimonio religioso.
IL
NAZISMO IN GERMANIA. ATTIVITA’ DIPLOMATICA IN EUROPA
La
Germania era uscita dalla guerra in condizioni disastrose. Le potenze
vincitrici imposero ai tedeschi gravose e umilianti clausole economiche
(ingenti riparazioni per danni di guerra, circa 226 miliardi di marchi
oro) e militari (l’esercito tedesco non avrebbe dovuto superare le
100.000 unità, avrebbe avuto limitazioni nelle armi a disposizione e
l’intera area della Renania avrebbe dovuto essere smilitarizzata).
Crescevano le agitazioni sociali. Fra tanto disordine prevalsero le
correnti nazionalista capeggiate da Adolf Hitler, il quale aveva
fondato nel 1920 “il partito nazionalista degli operai tedeschi”. Ad
esso aderirono anche molti disoccupati, che nel 1931 arrivarono ad
essere 5 milioni. Nell’agosto del 1921 la Germania aveva iniziato il
pagamento delle prime rate della riparazione ma, come era prevedibile,
il risultato fu semplicemente quello di ingigantire l’inflazione. Il
marco fu addirittura polverizzato. Fu necessario, pertanto, chiedere
all’Intesa una moratoria nel pagamento delle riparazioni. L’Inghilterra,
che diffidava dell’eccessivo potere della Francia, non fu ostile a
concederla, ma la Francia impose il rispetto letterale dei patti. Una
spedizione franco-belga l’11 gennaio 1923, entrò nel ricchissimo bacino
carbonifero e metallurgico della Ruhr e la occupò a titolo di pegno per
i futuri pagamenti. L’occupazione della Ruhr fu un atto di fondamentale
importanza non solo perché mise in evidenza il dissenso franco-inglese
di cui Hitler approfitterà, ma anche perché può definirsi il vero atto
di nascita del nazionalismo, mettendo in movimento le forze reazionarie
tedesche. Una prima testimonianza è data dal putsch del 9 novembre 1923.
Il tentativo fallì, Hitler fu arrestato, ma seppe abilmente sfruttare il
processo al quale fu sottoposto perché fornì le armi alla futura
propaganda nazista.
Dal
giorno in cui Hitler assunse il potere, la Germania divenne una grande
caserma. La dottrina pan germanica e l’addestramento militare si
allearono per fare della nazione uno strumento di dominazione europea.
Ebbe
inizio una politica di persecuzione contro gli Ebrei perché considerati
disgregatori dell’unità spirituale del popolo tedesco. Contro di essi
furono usati metodi sempre più inumani, deportazioni e massacri fino ad
arrivare ad un vero e proprio genocidio.
Si
provvide ad incrementare le attività economiche e industriali, con
particolare riguardo all’industria pesante collegata all’industria
bellica, che avrebbe permesso ai tedeschi di affrontare iniziative di
guerra con la possibilità di una completa autonomia economica.
Il
pangermanesimo di Hitler si era intanto già rivolto contro l’Austria. Il
Cancelliere austriaco Dollfuss, energico oppositore dell’annessione
dell’Austria alla Germania fu assassinato da un gruppo di nazisti nel
1934.
Un
“patto a quattro”, proposto da Mussolini tra Inghilterra, Francia,
Italia e Germania per il mantenimento della pace fallì dopo numerosi
tentativi nel 1933. Fallì perché alcune Nazioni volevano rivedere le
clausole dei trattati stipulati alla conclusione della prima guerra
mondiale, altre erano restie ad abbandonare i vantaggi acquisiti. In
altre parole mancava una sincera volontà di pace.
Intanto la Russia, preoccupata del nuovo imperialismo tedesco aveva
chiesto di entrare a far parte della Società delle Nazioni (1934) e
strinse patti di amicizia con la Cecoslovacchia e di assistenza con la
Francia (1935).
Cito
infine un ultimo accordo quello della Conferenza di Stresa dell’aprile
del 1935 a cui presero parte Inghilterra, Francia e Italia che aveva lo
scopo di garantire l’Indipendenza dell’Austria e salvaguardare la pace
in Europa. Purtroppo anch’esso non ebbe applicazione pratica.
La
Germania si preoccupava di cercare alleati: perciò si accostò al regime
fascista al quale la legavano affinità di programmi e di metodi politici
ad anche al Giappone che nel 1933 aveva iniziato una politica
apertamente imperialista. All’accordo anticomunista del 1936 tra
Germania e Giappone aderì l’Italia.
LA
GUERRA IN ETIOPIA E L’ALLEANZA DELL’ITALIA CON LA GERMANIA
Mussolini nel 1935 mosse guerra all’Etiopia. Questa impresa voleva
essere una prova di forza del regime fascista. Non mancò la solidarietà
da parte della nazione perché vedeva in essa un’opera di civilizzazione
e sperava che l’Etiopia avrebbe costituito una fonte di lavoro e di
benessere. I 400.000 soldati e i 100.000 operai che parteciparono
all’impresa seppero condurre con umanità e dignità la guerra coloniale,
contribuendo innegabilmente al progresso civile della popolazione
etiopica.
Motivo occasionale del governo fascista per iniziare le ostilità fu una
serie d’incidenti di frontiera tra Somalia ed Etiopia, nonostante il
trattato di amicizia che era stato firmato tra Roma ed Addis Abeba nel
1928. L’azione contro l’Etiopia suscitò l’ostilità di quasi tutti i
paesi aderenti alla Società della Nazioni e in particolar modo
dell’Inghilterra, che, nell’agosto del 1935, inviò la sua flotta nel
Mediterraneo.
Strategicamente non fu una grande iniziativa perché con l’impresa
etiopica l’Italia perdeva il suo ruolo di forza di equilibrio tra la
Germania da una parte, la Francia e l’Inghilterra dall’altra.
La
guerra italo-etiopica ebbe inizio il 3 ottobre del 1935. Il generale De
Bono varcò il confine eritreo, il Generale Rodolfo Graziani varcava il
confine somalo e da li penetrava in Etiopia. Dopo pochi mesi il
Maresciallo Pietro Badoglio (successo nel comando a Di Bono) occupò
Addis Abeba (5 maggio 1936). Sull’impero etiopico veniva proclamata la
sovranità italiana (9 maggio 1936) e il Re d’Italia assumeva anche il
titolo d’Imperatore di Etiopia. La guerra ebbe come conseguenza un
maggior avvicinamento dell’Italia alla Germania (che aveva favorito
l’impresa) tanto da giungere all’Asse Roma-Berlino. Quest’accordo fu
particolarmente funesto perché assoggettò, di fatto, l’Italia alla
Germania.
Indirettamente fu la causa del crollo della Società delle Nazioni, il
cui prestigio non era certo considerevole. Ad esempio la Società delle
Nazioni aveva imposto sanzioni economiche all’Italia, ma queste non
furono mai applicate con eccessivo rigore e vennero vanificate
dall’aiuto fornito da Germania e Stati Uniti, che non erano membri della
Società delle Nazioni.
LA
GUERRA IN SPAGNA
A
complicare le cose contribuì la situazione creatasi in Spagna, dove il
Re Alfonso XIII fu costretto all’esilio da forze socialiste e comuniste.
Si costituì la Repubblica (1931) contro la quale si schierarono le forze
nazionaliste appoggiate dai militari. Il Generale Francisco Franco, che
comandava le truppe di presidio nel Marocco spagnolo, rientrato in
Patria, iniziò la lotta contro la nuova Repubblica costituitasi in
“Fronte popolare” (luglio 1936). È importante notare la vicenda perché
il grande urto di diversi ideali, vivo in tutta Europa, aveva assunto in
Spagna forme cruente. Molti volontari accorsero in favore del Fronte
popolare (anche il nostro Pietro Nenni). Germania e Italia mandarono
aiuti di uomini e mezzi a Franco perché i due duci riconobbero alcune
affinità di mentalità e d’ideali. La guerra civile (1939) si risolse a
favore di Franco, che instaurò una dittatura militare e divenne il capo
dello stato con l’appellativo di Caudillo (sempre Duce).
La
partecipazione dell’Italia alla guerra di Spagna concorse ad indebolire
ulteriormente il già modesto potenziale bellico già provato dalla guerra
di Etiopia ed a farci trovare insufficientemente preparati al momento
dello scoppio della seconda guerra mondiale.
CONCLUSIONE
Alla
vigilia della seconda guerra mondiale la situazione internazionale era
così tracciata:
Il
Re del Belgio, Leopoldo III aveva cercato di staccarsi dalla politica
dei blocchi e contro blocchi, adottando una politica di neutralità
(1936).
In
Germania il servizio militare di leva era stato prolungato da un anno a
due (agosto 1936). Iniziarono una serie di annessioni, nel marzo del
1938 truppe tedesche entrarono in Austria, occupando Vienna. Toccò poi
alla Cecoslovacchia, dove nella regione dei monti Sudeti, vivevano circa
tre milioni di Tedeschi. Nuove tensioni avvenivano per la questione di
Danzica e del Corridoio Polacco che realmente mal definiva la frontiera
della Germania perché teneva isolata la Prussia Orientale e divideva in
due l’Alta Slesia.
La
Russia aveva abbassato da ventuno anni a diciannove l’età per la
chiamata alle armi.
La
Francia aveva votato leggi speciali per il proprio rafforzamento
militare.
L’Inghilterra aveva provveduto a rafforzare la marina e l’aviazione
militare. Inghilterra e Francia rimasero un po’ a guardare nella
nascosta speranza di un urto tra Germania e Russia, con il conseguente
indebolimento di entrambe.
L’Italia stabilì straordinari stanziamenti militari. Nell’aprile del
1939, Mussolini occupò l’Albania, mentre rivendicazioni nazionaliste si
levavano in Italia per Tunisi, Gibuti, Corsica e anche per Nizza e
Savoia, incrementando l’acredine con la Francia.
Gli
Stati Uniti tentarono di risolvere la questione con il loro Presidente
Roosevelt. Ma nel Convegno di Monaco (settembre 1938) al quale
parteciparono Italia, Francia, Germania ed Inghilterra fu sacrificata la
Cecoslovacchia, che dovette cedere alla Germania il territorio dei
Sudeti prima e nel marzo 1939 tutta la Nazione.
Tutte queste situazioni hanno portato ad avere i due blocchi così
definiti:
Francia e Inghilterra crearono un’alleanza difensiva alla quale aderì
anche la Russia.
Germania e Italia stipularono il tristemente famoso Patto di acciaio che
assoggettò l’Italia alla Germania.
Il
1° settembre 1939 Hitler impartiva l’ordine alle truppe di varcare il
confine con la Polonia. Inghilterra e Francia si dichiararono in stato
di guerra con la Germania (3 settembre). L’Italia dichiarava la non
belligeranza. Era l’inizio della seconda guerra mondiale, terribile,
destinata a durare sei lunghi anni e a sconvolgere il mondo. |